Donald Trump fa discutere. Certo, è normale che il presidente degli Stati Uniti d’America faccia discutere. Ma l’attenzione che quest’uomo riesce a calamitare su di sé da anni non è riconducibile ad un solo fattore, quello politico in particolare. Trump è “a capo del mondo libero”, è molto ricco, è simpatico e antipatico. E’ uno showman televisivo, ha avuto ed ha accanto a sé donne bellissime, è continuamente travolto da scandali. E’ un genio, è un folle, è sempre sul filo dell’impeachment.
Uno, cento, mille Trump condensati in un uomo partito come imprenditore del settore immobiliare. Che è passato per centinaia di affari non sempre redditizi. Che si trovato a novembre 2016 a schiacciare la propria rivale democratica, Hillary Clinton, che gli contendeva la carica di presidente Usa. Ha attaccato i media, gli immigrati, ha parlato alla pancia di una nazione spaventata dalla crisi, dalla mancanza di lavoro, dalla minaccia del terrorismo. Argomentazioni populiste e progetti strambi, come la costruzione di un muro tra gli Stati Uniti ed il Messico, lo hanno portato alla White House. Anche questo è un successo del brand Trump?
Clima, Arabia Saudita, Fbi
Ciò che è certo è che Donald Trump si trova sempre al centro delle polemiche. L’ultima, quella riguardante gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, ha innescato reazioni in tutto il mondo. Un fronte unico contro gli Usa: a Trump non sta a cuore il clima. Al presidente Usa interessano altri temi come l’alleanza con l’Arabia Saudita, primo Paese visitato da Trump nel corso del suo primo viaggio all’estero. Qui sono stati firmati accordi commerciali per la vendita di armamenti per 110 miliardi di dollari. I sauditi partecipano alla guerra civile in Yemen, dove più di 10mila civili sono rimasti uccisi fino ad ora. In patria, invece, Trump è in seria difficoltà per la sua decisione di licenziare James Comey. Il capo dell’Fbi che stava indagando sulle presunte interferenze della Russia nella campagna elettorale.
L’inizio della scalata: la Trump Organization
Per capire fino in fondo la figura dell’inquilino della Casa Bianca bisogna comprendere da dove è partito Donald John Trump. Nato il 14 giugno 1946 a New York dall’imprenditore edile Fred Trump e dall’immigrata scozzese Mary MacLeod Trump, ha frequentato la Wharton School of the University of Pennsylvania. Si è laureato nel 1968 e 3 anni più tardi ha rilevato la Elizabeth Trump & Son, l’azienda di famiglia, ribattezzandola Trump Organization. È l’inizio del “marchio” Trump, nato dall’intuizione di far crescere il proprio personaggio di pari passo con i grattacieli della Grande Mela ai quali attribuisce il suo nome.
Patrimoni stimati
A quei tempi il patrimonio stimato di Fred Trump era di 200 milioni di dollari. Donald, però, per creare il suo impero ha avuto molto più bisogno della credibilità del padre che dei contanti. È così che ha ottenuto credito ed ha investito in imprese ad alto rischio. I canali erano quelli giusti e nel giro di pochi anni ha costruito l’hotel Grand Hyatt, Trump Plaza, il club privato Mar-a-Lago in Florida, diversi palazzi, hotel e campi da golf in tutto il mondo e, soprattutto, gli edifici-simbolo. Ovvero le Trump Tower sulla fifth avenue di Manhattan e a Chicago.
Il tycoon, ovvero il grande dominatore. O quasi
È nato così l’imprenditore, il magnate, il tycoon (dal giapponese taikun, grande dominatore). Donald Trump è diventato un simbolo e lui stesso lo ha affermato in ogni maniera possibile. Eppure non compare nella lista dei primi 10 imprenditori immobiliari di New York. Com’è possibile? I motivi possono essere diversi. Le aziende riconducibili a Trump non sono quotate in borsa e il rapporto tra il magnate e Wall Street è sempre stato conflittuale. Dunque non sappiamo esattamente a quanto ammonta il patrimonio del presidente Usa. Trump ha sostenuto che ammonta a circa 10 miliardi di dollari, eppure in molti lo hanno smentito. Partito da un’eredità familiare di 40 milioni, oggi il patrimonio netto si aggirerebbe tra i 2,9 miliardi e i 4,1 miliardi di dollari. Altro fattore da non sottovalutare riguardano gli investimenti andati male. Se nel settore immobiliare, infatti, il tycoon ha inanellato una serie di successi, così non è stato per le compagnie aeree, il football americano, i casinò.
Casinò e football
È divenuto celebre il caso del settore in crisi di Atlantic City. Donald Trump è uscito per un pelo dallo sfacelo eppure una procedura fallimentare all’inizio degli anni ’90 ha rischiato di travolgerlo. A causa della procedura fallimentare ha messo a rischio altre aziende. Ha dovuto vendere yacht e una compagnia aerea, ha ceduto quote di partecipazione. Ancora oggi, come ha rivelato la Commissione elettorale federale degli Stati Uniti, 15 società avrebbero un debito complessivo con le banche di oltre 270 milioni di dollari. Altra parentesi più che dovuta è quella relativa al mondo del football. A metà degli anni ’80 Trump ha acquistato i New Jersey Generals. Una squadra del campionato di football nascente chiamato United States Football League (Usfl). L’obiettivo era quello di unificare la National Football League (Nfl), principale campionato di football americano, con la Usfl. Ma il tentativo è fallito.
Donald Trump: dal brand al brand
È un cerchio che si chiude. Che comincia con il brand e finisce con il brand. Donald J. Trump è stato dirigente di oltre 500 aziende. Delle 515 aziende di cui Trump ha fatto parte ben 269 hanno portato il suo cognome, il suo marchio. Il tycoon ha legato il brand Trump a bistecche, giochi da tavolo, riviste, compagnie aeree. E poi a camice, cravatte, acque, bevande, profumi, vini, liquori, mobili. Oltre ovviamente a edifici, hotel, casinò e ad una università: la Trump University.
È probabilmente in questo modo che, nonostante gli insuccessi, la sua popolarità è rimasta pressoché invariata. Una delle ultime intuizioni, oltre ad apparizioni in film e serie tv e sui ring del wrestling, ha riguardato The Apprentice. Parliamo del reality show dedicato agli aspiranti imprenditori con un Trump assoluto protagonista del piccolo schermo. Corporatura, capigliatura e modi di fare hanno fatto sì che comici, imitatori e satira del web lo rendessero una macchietta nel corso della lunghissima campagna elettorale.
“La fantasia delle persone”
“Gioco con le fantasie delle persone. – ha scritto il magnate in un suo libro del 1989 intitolato ‘Trump: l’Arte di Fare Affari’ – La chiamo iperbole reale. Una forma innocente di esagerazione e un modo molto efficace di farsi promozione”. Da non dimenticare che il magnate si è trovato spesso sui media anche per i suoi 3 matrimoni dai quali ha avuto 5 figli. Il primo nel 1977 con Ivana Zelnickova; il secondo nel 1993 con Marla Maples; l’ultimo nel 2006 con Melania Knauss, l’attuale first lady Usa.
Colui che siede nello Studio Ovale
Popolare ma non “politico”, e la corsa a Washington costa parecchio. Così il suo avversario Hillary Clinton lo ha battuto nei finanziamenti, riuscendo a reperire circa 690 milioni di dollari. Donald Trump si è invece fermato a 308. Tra i finanziatori principali Murray Energy, gigante del carbone e del bitume, Alliance Resource Partners e il dipartimento della Difesa Usa. Dopo aver vinto le elezioni ed aver cominciato il suo mandato all’inizio del 2017, Trump ha ricompensato molti dei suoi donatori con importanti cariche all’interno del Governo Usa. In Italia le avremmo chiamate cambiali elettorali e probabilmente qualche Procura avrebbe avuto qualcosa da ridire.
Battuto nei finanziamenti da Hillary certo, ma alla fine dei giochi, come ben sappiamo, Donald Trump (o il suo brand) l’ha spuntata e si è seduto nello Studio Ovale. E allora forse lo sa bene anche lui: i soldi e la ricchezza non sono tutto.