“Come ti definisci? Food blogger? Influencer?”. “Io mi sento più un imprenditore, ti devo dir la verità”. La risposta è di Sonia Peronaci, fondatrice insieme al marito, di Giallo Zafferano, un sito web letto da milioni di persone al mese. Un successo talmente enorme che il sito è stato incorporato da Mondadori ed attualmente ospita le ricette di quasi 9mila autori. Il caso di Giallo Zafferano, varato nel 2006, è simile a quello di molti altri blog aperti quasi per caso o per semplice passione e che si sono poi tramutati in una “professione del futuro”.
Com’è accaduto tutto ciò? Il procedimento è stato veloce e complesso ma quasi mai analizzato in tutte le sue enormi sfaccettature. Il blogger diventa personaggio; i milioni di followers sui social ne fanno un influencer; quindi le grandi aziende sfruttano la sua immagine per sponsorizzare prodotti; da lì il passo per diventare editore, imprenditore, manager di sé stessi è molto breve.
E se qualcuno prova a comprare il food blogger?
Ma cosa accade se qualcuno prova a “comprare” gli influencer per una recensione del proprio ristorante mantenendo all’oscuro i propri lettori/followers? E se il blogger è anche giornalista, da che parte sta la deontologia? Pochi giorni fa la trasmissione di Rai 3 Report ha provato a rispondere ad alcune di queste domande ed il botta e risposta riportato in apertura è tra il giornalista Bernardo Iovine e Sonia Peronaci. Il percorso non sarebbe completo senza una parentesi su TripAdvisor, il sito web che raccoglie i giudizi che i consumatori esprimono su ristoranti e alberghi, la cui credibilità negli ultimi tempi si è però indebolita.
I blogger, quelli bravi. Fatturati da capogiro
I blogger più bravi e determinati che qualche anno fa hanno aperto un sito dedicato ad un particolare tema come la tecnologia, l’archeologia, la moda o il cibo, nel corso degli anni grazie ai social network come Facebook ed Instagram si sono trasformati in influencer. Uno dei casi più famosi è certamente quello della fashion blogger Chiara Ferragni che nel 2009 ha lanciato il blog The Blonde Salad e che attualmente fattura milioni di dollari l’anno essendo diventata testimonial di Pantene e di Amazon Moda, per dirne giusto un paio. Scrive libri con importanti case editrici, partecipa ad eventi in tutto il mondo. Ferragni è quindi ora un’imprenditrice di successo.
Per quanto riguarda il cibo, il percorso dei blogger è stato pressoché identico. Al momento i food blogger più seguiti in Italia sono circa 400. Ogni giorno pubblicano circa 1400 post su diversi social network dove sono seguiti da più di 11 milioni di persone. In totale le reazioni a ciò che postano ammontano a più di 30 milioni. Le aziende che puntano sui food blogger, ovvero i clienti dell’influencer, muovono un indotto pubblicitario di oltre 6 milioni. Allora è certo che la pubblicità è ben visibile sui banner pubblicitari, nelle inserzioni nel bel mezzo di una ricetta. Ma c’è anche altro. Per molti è stata la costanza e la determinazione, il lavoro di qualità; altri invece hanno puntato molto sui social per farsi conoscere, per far entrare i followers nella propria vita privata.
Vita da influencer: dietro le quinte o quasi
È così che la chef diventa mamma e moglie amorevole, donna in carriera o casalinga. Ed è sempre lì che si insinua la pubblicità. Non è un caso se la food blogger posta una foto in cui dà da mangiare al proprio bimbo la pappa Mellin. Come del resto si può notare dall’hashtag #mellin. Si badi bene: non c’è alcun segreto, forse giusto un po’ di pubblicità subliminale ma tant’è. È chiaro che sono state le aziende a sponsorizzare determinati post. Dall’altro lato, a cliccare mi piace ci sono i followers che si fidano del nome e della firma del food blogger. Siamo difronte ad una prima distorsione del sistema? Forse. Intanto, però, gli influencer possono pubblicizzare momenti di vita privata senza alcun obbligo deontologico.
Accumulare followers, like
“Food blogger è una parola che oggi come oggi ti fa capire immediatamente quello che fai. – ha dichiarato Sonia Peronaci a Report – Poi in realtà io faccio tantissime altre cose: faccio televisione, faccio libri, sono su una rivista, faccio show cooking esterni quindi diciamo che si è diversificato il lavoro rispetto a dieci anni fa”. “Si parte con il pubblicare ricette, – ha spiegato il giornalista Iovine – ma poi si può arricchire il blog con classifiche di ristoranti, di vini, racconti di viaggi gastronomici, gare di chef, inserendo anche momenti di vita personale insieme a bambini o animali domestici. L’obiettivo è accumulare followers, like, e diventare influencer”.
Recensioni a pagamento?
Il sistema è redditizio e si regge sugli inserzionisti e sulle aziende-clienti. Per capire bene le sue distorsioni Report ha fatto tappa a Napoli. Qui qualche tempo fa è scoppiato il caso delle recensioni a pagamento. Ci sono chef, come Gino Sorbillo, che diventano loro stesso blogger e quindi influencer. Ma ci sono anche centinaia di pizzerie che necessitano di visibilità per attirare clienti. Alcune associazioni di pizzaioli avevano segnalato che autori di importanti blog chiedevano somme di denaro per la pubblicazione di articoli positive per pizzerie e ristoranti. Insomma, è deflagrata definitivamente la problematica della deontologia e del complicato rapporto tra giornalisti pagati poco o nulla dai giornali e blogger pagati molto bene dalle aziende.
Deontologia e credibilità
“La credibilità si acquista nel tempo – ha detto Carlo Spinelli, food writer intervenuto al Festival del Giornalismo Alimentare di Torino – e non bisogna mai scendere di grado. Una volta che si conquista il pubblico bisogna proseguire sulla stessa linea editoriale, etica e morale. Imparziali non si può essere: se scelgo di parlare di uno chef o di un ristorante ho già preso una posizione. Ma d’altro canto i giovani spesso non sanno nemmeno cos’è ad esempio la guida di Slow Food. Quindi bisogna partire dalle basi e crearsi una credibilità”.
“Blogger e giornalista sono entrambe figure – ha spiegato il food blogger Dario Ujetto – che servono a dare chiarezza di informazione. È importantissimo distinguere comunicazione ed informazione: quest’ultima oggi può vivere della collaborazione tra bogger e giornalista. Le patenti e i bollini li danno i lettori: più il lettore dà fiducia più si rafforza il legame con la fonte dell’informazione”.
“Ho qualche dubbio che in Italia esista la critica gastronomica. – ha detto Federico Francesco Ferrero, critico de La Stampa – Sono moltissimi anni che non leggo una critica negativa ad uno dei grandi ristoranti italiani. È possibile che non abbiamo mai sbagliato un piatto? La critica dovrebbe essere al servizio della cucina: sia dei consumatori sia dei ristoratori. Far notare gli errori è uno stimolo a crescere. Oggi è tutto molto omologato per materie prime, impiattamenti ed altro. Tornare ad una critica che vuole fare il bene del gusto può essere una soluzione. Si può fare solo se chi scrive è un professionista soggetto ad un codice deontologico ed è pagato adeguatamente. Molti giornali non pagano neppure i rimborsi spese. È difficile non andare in conflitto d’interesse: da un lato fanno da ufficio stampa, dall’altro recensiscono un ristorante. C’è molto da fare”.
TripAdvisor è un coltello
Tre pareri, insomma, che riescono a far capire in che direzione stiamo andando. E che sono utili ad introdurre l’ultimo argomento che affronteremo: TripAdvisor. Dal portale non si può uscire, vale la regola dell’esercizio pubblico. Sempre più spesso si sente di ristoratori adirati contro il portale a causa di recensioni negative senza alcun senso. Sul web poi si moltiplicano sempre più le offerte di chi, a pagamento, promette commenti positivi falsando il sistema.
“Queste aziende generalmente operano contro la legge in quasi tutte le nazioni. – ha dichiarato Adam Medros, vicepresidente di TripAdvisor – Quando possiamo forniamo informazioni alle autorità con tutte le prove di cui hanno bisogno per far chiudere queste aziende. E intraprendiamo azioni legali tutte le volte che è possibile per fermarle”. Di queste azioni legali, però, Report non ha trovato traccia.
“TripAdvisor è uno strumento, come un coltello – ha spiegato Luca Iaccarino di Repubblica – Ci si può spalmare il burro oppure accoltellare qualcuno alle spalle. Visto che lo strumento c’è bisogna usarlo meglio. Se le persone oneste che davvero vanno a mangiare in un posto e si trovano bene, è bene che inseriscano la propria recensione, annacquando così i commenti di chi utilizza il portale per secondi fini”.